I maschi hanno una simpatica sacca chiamata
scroto, produce in continuazione dei curiosi girini
bianco/trasparenti, detti spermatozoi, tutti, potenzialmente, possibili
vincitori di un trofeo che chiameremo 'ovulo'; corrono tutti insieme, in una
sfrenata corsa per la conquista del suddetto.
Miliardi di
miliardi, partecipanti a una comptizioni che li vedrà perdere in
massa. Lo scroto, pur liberandone una quantità infinita, ne continua
a produrre tantissimi, riempiendo nuovamente la succitata sacchetta
conteniva in un tempo incredibilmente breve, retaggio di un mondo
primitivo in cui, a quanto pare, si scopava tanto, con un grande e
unico scopo: impregrare e riprodursi, impregnare e riprondursi, senza
fine.
Unica eredità di un mondo antico, mentre, nello stato odierno delle cose, gli istinti primitivi sono ridotti, o comunque
incanalati, nei giorni della setttimana in cui
LuiNonHaLaPartitaDiCalcetto &
LeiNonHaLaSedutaDiCazzateSettimanaliSparateConLeAmiche. Poi arriva il
venerdì, lei non ha il ciclo, a 'sto giro, lui dall'eccitazione si
strappa i peli pubici preso da un attacco di virilità nascosta, ma
mal esplosa, e le sussurra con voce tremante <<Cara. Se non sbaglio
oggi è il giorno della settimana consacrato al rigirarti come un
calzino, sbatacchiarti contro l'armadio e mostrare, con i nostri
urli, ai vicini, quanto sia palpitante -e zampillante, dato poi come
andrà a finire- d'ammmòre per te>>.
Lei sbuffa, messa al muro
dall'impossibilità di poter usare la Suprema Arma del mal di testa,
di cui ha abusato troppo, questa settimana.
Non le resta che
aprire le gambe ed annoiarsi per la successiva mezz'ora.
Ecco,
Lui, il povero tipo che è in ognuno di voi, speranzosi di dar sfogo
alla vostra fontana fecondativa, Lui è disperato perchè DEVE far
uscire quello che ha dentro, è fisiologico. Sta nella sua natura di PoveroCristo.
Se, ipoteticamente,
quell'essere immondo che continua a chiamare 'compagna', anche questa
sera, avesse deciso di non dargliela, lui sarebbe dovuto correre in
bagno, di nascosto, in tarda serata e, con mano lesta ma delicata,
dare sfogo, come ogni sera, personalmente, a quel profluvio di amore
sprecato.
Perché sto narrando questa pratica che suonerà,
credo, orribile, alle vostre orecchie?
Perché è lo stesso che
provo io quando scrivo. E' lo stesso motivo per cui sento il bisogno di
scrivere. Dalla mia penna non escono fuori spermatozoi galoppanti, ma
inchiostro pronto a bagnare la carta. Non scrivo per il gusto di
rileggermi, non sono così tanto edonista, se così fosse suppongo mi
basterebbe guardarmi nuda allo specchio. Scrivo perché come l'uomo
che avendo, letteralmente, le palle piene sente il bisogno di dare
sfogo al suo piccolo amico, così io sento il bisogno di liberare la
mia mente.
Che io scriva bene o male questo non fa differenza,
provavo già gusto nel farlo quando, quattordicenne, scrivevo boiate
immense, spacciandole, tra i miei amici immaginari, come grandi saggi
motivazionali su come affrontare la vita.
Poi arrivò MSN, al
qual account potevi collegare un tuo personalissimo blog, nel quale liberavo la mia vena creativa che, per quanto mi ricordi, andava decisamente tagliata. [Non
ringrazierò mai abbastanza il Sig. Internet per aver deciso di
eliminare, tempo addietro, completamente, dall'esistenza e dalla
memoria dell'etere, tutte quelle gabbie cybernetiche dove tante vite
insignificanti (tra cui la mia) raccontavano la loro esistenza
inutile, convinte che tutta quella merda, vomitata in byte, avesse
del valore intrinseco.]
Dicevo.
Scrivere.
Tenevo
quaderni disordinati assomiglianti a diari, dei quali mi servivo per
dare un'etichetta e una colocazione alle mie idee. Seghe mentali di una liceale che cercava di essere profonda; il risultato definitivo
era confuso: concetti importanti espressi male, che cercavo di
adattare alla realtà circostante. Capivo di avere dei problemi,
perciò, per semplificarli, li arrangiavo al contesto, immaturo,
patetico, sgraziato, come solo può essere lo sfondo dello spettacolo
al quale sta recitando un'adolescente che vive in una città di
periferia. I miei scritti, di conseguenza, avevano lo stesso tono
sfumato, banale; cercavano di rendere il di più, l'angoscia
interiore, quella cosa che sentivo che mi contraddistingueva e mi
rendeva dissimile alle altre bestie con cui dovevo rapportarmi.
Però
poi rileggevo il tutto ed era sempre una Fiera del Sentimentalismo,
svenduta al peggior quaderno preso in sottocosto alla Coop.
L'orrore.
Per anni non ho più scritto niente, se non
sporadiche righe. Se non che, due anni fa, ho raggiunto la pubertà della
scrittura. Il ragazzino, una volta raggiunta questa fase, sente il
disperato di bisogno di masturbarsi, alcune volte convulsamente; io
ho sentito il bisogno di vomitare parole, pensieri.
Continuo a
farlo. Scrivo ovunque, su fogli volanti, sul quaderno apposito che
cerco di portarmi dietro sempre, ché mi sia d'aiuto quando,
all'occasione, mi viene in mente qualcosa da appuntare.
Non ho la
pretesa che quello che scrivo adesso sia migliore di quello che
scrivevo 7-8 anni fa; certo, ci spero, ma non è questo il punto. Non
è all'autocelebrazione cui aspiro.
Per quanto mi riguarda, e per
quanto ne so, posso essere ancora molto vicina alla linea sottile che
mi separa dall'analfabetismo. Il
mio interrogativo è un altro: cosa mi spinga a scrivere così
disperatamente.
Non mi basta il 'cerchi di imprimere qualcosa di
te negli altri, perchè, così facendo, esorcizzi la morte, di cui hai
tanto paura'. Boh, mi sa tanto di cazzata new age come
risposta.
Dietro a chi scrive e lo sa fare, o per lo meno ci
prova, secondo me c'è molto di più della gioia nel vedere piccoli
discorsi di senso compiuto che prendono forma, come dei figli , tra
le proprie mani. Piccole frasi che diventano creature vere, che
colpiscono chi legge; che si muovono sul foglio bianco e,
improvvisamente si colorano, prendono nella mente le forme più
variegate, a seconda di cosa tu voglia far fantasticare. Sei il
burittanio della fantasia, che, in quel momento ha il potere di
plasmare l'immaginazione dell'altro, per condurlo dove tu vuoi. Lo
scrittore prende il lettore per mano, e lo conduce nel tunnel
dell'oscurità, dell'angoscia, della malinconia, o, semplicemente nel
linguaggio della comunicazione.
Sotto l'epidermide dello
scrittore, che tu sia una bimbaminkia che prova a riempire di 'cose'
dei quaderni , o che tu sia un'universitaria con disturbi
comportamentali, c'è il desiderio di comunicare.
Il bisogno di
palesare ciò che fino ad allora si è celato di noi, l'aspetto più
recondito che, nel momento di rapportarsi vis à vis, nel mondo, non
ci sentiamo capaci di mettere a nudo. Allora torniamo a casa e,
frustrati da questo senso di incompletezza che è il non riuscire a
comunicare veramente, rigurgitiamo i nostri pensieri, la nostra
misantropia, l'odio puro verso il prossimo, la nostra inadeguatezza,
il rimpianto di un amore perduto, la paura di morire, il terrore di
vivere, il sentimento dell'autodistruzione. Qualunque cosa sia, se la
sentiamo pulsare dentro, deve essere riversata, per impedire che
marcisca.
Scrivere è un modo per tendere una mano a se stessi,
quando si sente che si sta per scivolare nell'oblio, e salvarsi.