mercoledì 18 dicembre 2013

Le Feste.

Arrivi, infreddolita, al portone. Il campanello suona e tu, frettolosamente, sali a due a due gli scalini, mentre cerchi di indagare, dentro te stessa, cosa ti aspetti da questa serata.

Entri. Ti godi, docilmente, la festa.

Poi, Musica.

Il suono vibra calmo nello orecchie, deciso e sublime. Ti alzi, muovi il tuo corpo e decidi di assecodarla, questa musica, dando, a quella melodia, un percezione visiva. Alzi il viso verso un'aria irrespirabile che sa di fumo ed ubriachezza, ridi e ispiri forte la tua sigaretta; un'aria che pesa come piombo, nei tuoi polmoni, pregna di corposità. 

Le feste nascono da una necessità di condividere un aspetto del proprio vivere, trasmettendo, nel pieno del proprio significato, il momento di cui si vuole rendere partecipi gli altri. Birra e fumo sono le spezie di cui ci cibiamo, sperando che l'alcool bevuto, e il fumo inspirato, renda le nostre anime più visibili all'occhio dell'interlocutore che, a sua volta, brandisce una birra dozzinale.
Tabacco e felicità effimera, che vogliamo spacciare come reale e tangibile.

Labbra violacee di vino e sguardi appannati riempono visi gaudenti e abbandonati a piccoli microcosmi, creati artificialmente, per il desiderio di voler sfuggire a impegni prefissati.

Nella mia stessa, eterna, recita di ragazza felice e spensierata, però, mi domando come non riesca ad essere me stessa come quando ho del vino in mano.

Sto parlo di me, ma in realtà le mie parole, alla fin fine, potrebbero provenire dalla bocca di chiunque.

Dovremmo vivere da ubriachi, cosicché le nostre mani e i nostri occhi possano sempre parlarsi davvero, senza filtri.

lunedì 16 dicembre 2013

Uno schiaffo

.E' inizio settembre, la calda stagione del divertimento sta quasi per vedere la sua fine, ma, se giocata bene, un ultimo, emozionante, colpo di reni lo può ancora regalare.
Ragazze facili sculettano gloriose per il centro, pronte a svendere cosce nude, esposte al vento, lunghe o grasse che siano. L'odore di un febbricitante autunno, che vuole incominciare ad affacciarsi, si mostra, di tanto in tanto, con una folata di vento più fresca; così le ragazze percepiscono che l'estate è agli sgoccioli e affrettano la loro peculiare raccolta. C'è chi è più brava e il punteggio massimo lo ha già raggiunto. Le più timide sono rimaste indietro.
<<A te chi manca ancora?>> Chiede una, confrontando con l'amica l'album di preservativi usati che ha conservato con perizia.
<<Questo è di Giorgio, quello della 5C che ora entra all'Università.
Poi ho Davide, lo vedi? E' questo preservativo fruttato, sai, lui è così Indie.
Però – noti questo spazio vuoto? – questo era riservato a Luca. Ma non me l'ha ancora appoggiato, col fatto che ora si è fidanzato, sai...>>
<<Capisco, dai che troviamo un sostituto.>>

Le gare dell'amore, la gioia dello scopare.

Sole, Mare e Gioventù truccata male.

Posteggio il motorino, le cosce appiccicate alla plastica del sellino che, lentamente, si staccano con un suo viscido, mi fa sentire ancora più sudata e a disagio con me stessa.
Mentro salgo le scale un pessimo incrocio tra una pantegana e un cane mi viene incontro, scodinzolando. La mia sensazione di nausea sale.
Stranamente, però, quest'oggi, non ci sarebbe motivo alcuno per cui debba essere triste; una classica giornata estiva tra amici, tuffi e giochi serali, in un gruppo unito.
Solita giornata felice. Soliti scherzi tra noi. Soliti amici. Soliti. La noia fritta in salsa di monotonia, alla lunga.

Salgo nella zona letto, immersa nella notte fonda. E la malinconia sale con me. Un senso di oppressione e stanchezza. Voglia di cambiare tutto in un istante, di dare una svolta a questi giorni e il terrore di non poterlo fare perchè, oramai, si è alla fine dell'estate. E con essa sta finendo tutto.

Mi metto a piangere disperata, senza un apparente motivo logico.
Prendo una penna e incomincio a scrivere, affranta, vaghi pensieri confusi.
<<Tra pochi giorni, 6, per la precisione, compirò 18 anni. Avrò raggiunto la maggior età, con essa sarò giunta al termine della mia giovinezza. Ho vissuto senza essermene accorta. Alla fine sono ancora qui, inchiodata in un posto di merda, a fare cose di merda, in una vita di merda. La mia vita, il culmine che poteva raggiungere l'ha già raggiunto, ma ero impegnata a guardare altrove>>
La mia mano scorre veloce su questo foglio bianco, presa da convulsioni angoscianti che mi esplodono da dentro. Ogni parola di sconforto che scrivo , più la imprimo in questo quaderno a quadretti, più mi sembra reale, convincente. Allora continuo, presa da un raptus di verità, in cui mi rendo conto di aver perso la gioventù.
Piango i miei giorni migliori che non ho mai vissuto, perché mi sono resa colpevole di non aver dato loro ossigeno. Piango e sono vittima di me stessa.

*Zot* Un rumore fulmineo colpisce l'interno della mia stanza.
Smetto di piangere, non capendo bene cosa sia successo, continuo a singhiozzare sommessamente, impaurita e turbata
, fino a che sento una mano che si posa sulla mia spalla.

Mi giro e nella penombra vedo una figura familiare.
<<Chi diavolo sei?>> Chiedo, indispettita.
<<Sono Federica. Sono venuta per parlarti>>
<<Cioè, sei me?>>
<<Si. Sono te tra 6 anni.>>
<<Ma hai più tette!>> Dico, toccandomi le zinne con stupore e fissando le sue.
<<Si, gli ormoni e il tempo, son venute più grosse, come vedi. Ti piacciono?>> Chiede, con una punta di soddisfazione, soppesandole con cura.
<<Sono venuta- dice, sedendosi sul letto, fissandomi negli occhi- per dirti che, sinceramente, non capisci proprio un cazzo.>>
Mi asciugo i rimasugli di lacrime sull'angolo dell'occhio e sbuffo <<Ma che dici? E poi allora vuol dire che anche tu non capisci un cazzo!>>
<<No, vedi. C'è una sostanziale differenza. Vedi, io sono diventata una cazzona, certo, ma per adesso nessuno è ancora venuto dal futuro a darmi che non capisco un cazzo, al limite giungerà per darmi dell'inconcludente, cinica e malvagia. Ma non per dirmi che non capisco un cazzo. Tu, invece, amica mia, sei proprio la classica testa di fava.>>
<<E perchè?>>
<<Perché, dopo aver passato una giornata fantastica come questa, devi trovare il modo per rovinare tutto, facendoti seghe mentali, sterili, per altro, che ti portano a piangere come una inutile ragazzina cui è stato fregato sotto il naso l'ultimo singolo di Justin Bieber.>> -  <<E chi è Justin Bieber? >> - <<Lascia Perdere, è un bene che ancora tu non sappia chi sia, mi fa sperare sul fatto che puoi ancora salvarti e diventare una fantastica persona.>>
<<E lo diventerò?>> - <<Mh-No. Continuerai ad essere una demente di prima categoria, però avrai un certo stile nell'esserlo.>>
<<Ma come faccio a smettere di piangere? Odio tutti, Piombino fa schifo, sono stata sgravata in un buco pieno di persone insulse, la scuola è pessima e i professori sono degli incompetenti.>>
Scoppia in una colossale risata, mi giro intorno, nessuno nella casa pare si sia ancora accorto della presenza di un'Estranea, e incomincio a supporre che sia tutto frutto della mia mente spossata.
<<Ascolta. Queste cose le continuerai a pensare fino a quando avrai vita, credo, oramai. Accettale, disprezza tutti, ma con il sorriso, che tra 2 anni sarai all'università e festa finita.>>
<<Due anni? Ma io sto per incominciare la 5°. Un anno, quindi!>>
<<Ehm... Si, certo, un anno.>>

Ho ancora un tremito che mi turba, verticalmente, misto a singhiozzi repressi e malessere interiore, sento di aver vissuto chiaramente una vita di merda, fino ad adesso, ma come riuscire a farlo capire a 'sta tipa che, ora, fa la splendida?

<<Ma poi mi sento già vecchia. Ti rendi conto? Ho già 18 anni, la mia vita mi sta sfuggendo tra le dita e io non la fermo. Non sono ancora niente. Sono sola, abbandonata e incapace; con Pietro*Daremo alla suddetta cotta un nome di fantasia, come fanno i giornali quando muore una minorenne* le cose non sono andate bene e io sono ancora innamorata e poi...>>
*Sbam* uno schiaffo violento mi percuote il volto.
 <<Ma che cazzo fai, STRONZA?>>
<<Stronza? RINGRAZIAMI, DECEREBRATA. Hai 18 anni, minchia. Vecchia? Ma sai una sega te.>>
Cerca di darmi un altro schiaffo. Lo sento arrivare, alza la mano con un ghigno spietato, mi scanso in tempo, dicendo <<Ma stai calma! E poi tu non ti ricordi bene i drammi esistenziali-adolescienziali perchè non li stai vivendo da vicino, per te sono un ricordo lontano, invece io sono ancora nella merda fino al collo.>>

Sta diventando sempre più collerica, glielo leggo nel rossore del volto che mi guarda incattivito. Mi punta un dito contro :<<Ora lo scandirò bene: TU. NON. SEI. VECCHIA. Questa estate è stata bella e quando la ricorderai, tra qualche anno, riprenderai le foto in mano dicendo -Perchè non me lo sono fatto buttare da questo che me lo voleva dare come se non fosse suo?-
Ti sei presa una cotta per 'sto tipo per cui ti assicuro, tra qualche anno non te ne fotterà meno di zero. E NON SEI INNAMORATA. E non stai soffrendo. E' solo una bizza isterica di ormoni in quanto vuoi sganciare una verginità che ti sta scomoda,
quindi smettila di scrivere minchiate su un tipo che manco te s'incula, inoltre tra non molto arriverà davvero chi ti farà innamorare e quella sarà un'altra storia. Chiaro?>>
I suoi occhi si illuminano speranzosi : <<Davvero? E chi è lo conosco? Giovanni mi dice che la persona giusta è dietro l'angolo, sai, lo dice sempre. E con 'sto tipo ci stai ancora?>> La sua voce si trasforma in un grido di gioia.
<<Ecco, dì a 'sto Giovanni di stare nel suo. Il punto non è se ci sto ancora o non ci sto ancora. Il punto è che sei una bimbaminkia del cazzo che ha sfracassato le palle con tutte 'ste manfrine sullo stare male e sul 'tutti-mi-odiano-e-il-mondo-fa-schifo'. Hai ragione, il mondo è pessimo, ma, per piacere, cresci e vedi di non farmi vergognare di essere stata te, nel passato.>>


Si alza, facendo per andarsene. Poi si gira, guarda quella ragazzetta con ancora gli occhi arrossati, che la fissa spaurita e :<<A parte questo, devo dire che a differenza di tutte quelle altre troiette, stai mantendo un minimo di dignità intellettiva.>>

Sta per svanire nell'aere, così come è venuta, dal futuro -o dai fantasmi di un folle mente che ha le proprie  porte spalancate verso l'oscuro- quando alla bimbaminkia le viene in mente una curiosità da chiedere: <<A
SPETTA! Un'ultima cosa.>>
Il fantasma si gira, lentamente: <<Dimmi.>>
<<Ma, alla fine, ti sei laureata?>>

Solo un lampo d'odio sfavillò da quello sguardo ambiguo e truce. Poi il nulla.


lunedì 2 dicembre 2013

Meta-Scrittura: Scrivere sul piacere di scrivere (come farsi una sega al pensiero di farsi una sega, 'nsomma)


I maschi hanno una simpatica sacca chiamata scroto, produce in continuazione dei curiosi girini bianco/trasparenti, detti spermatozoi, tutti, potenzialmente, possibili vincitori di un trofeo che chiameremo 'ovulo'; corrono tutti insieme, in una sfrenata corsa per la conquista del suddetto.
Miliardi di miliardi, partecipanti a una comptizioni che li vedrà perdere in massa. Lo scroto, pur liberandone una quantità infinita, ne continua a produrre tantissimi, riempiendo nuovamente la succitata sacchetta conteniva in un tempo incredibilmente breve, retaggio di un mondo primitivo in cui, a quanto pare, si scopava tanto, con un grande e unico scopo: impregrare e riprodursi, impregnare e riprondursi, senza fine.
Unica eredità di un mondo antico, mentre, nello stato odierno delle cose, gli istinti primitivi sono ridotti, o comunque incanalati, nei giorni della setttimana in cui LuiNonHaLaPartitaDiCalcetto & LeiNonHaLaSedutaDiCazzateSettimanaliSparateConLeAmiche. Poi arriva il venerdì, lei non ha il ciclo, a 'sto giro, lui dall'eccitazione si strappa i peli pubici preso da un attacco di virilità nascosta, ma mal esplosa, e le sussurra con voce tremante <<Cara. Se non sbaglio oggi è il giorno della settimana consacrato al rigirarti come un calzino, sbatacchiarti contro l'armadio e mostrare, con i nostri urli, ai vicini, quanto sia palpitante -e zampillante, dato poi come andrà a finire- d'ammmòre per te>>.
Lei sbuffa, messa al muro dall'impossibilità di poter usare la Suprema Arma del mal di testa, di cui ha abusato troppo, questa settimana.
Non le resta che aprire le gambe ed annoiarsi per la successiva mezz'ora.

Ecco, Lui, il povero tipo che è in ognuno di voi, speranzosi di dar sfogo alla vostra fontana fecondativa, Lui è disperato perchè DEVE far uscire quello che ha dentro, è fisiologico. Sta nella sua natura di PoveroCristo.
Se, ipoteticamente, quell'essere immondo che continua a chiamare 'compagna', anche questa sera, avesse deciso di non dargliela, lui sarebbe dovuto correre in bagno, di nascosto, in tarda serata e, con mano lesta ma delicata, dare sfogo, come ogni sera, personalmente, a quel profluvio di amore sprecato.

Perché sto narrando questa pratica che suonerà, credo, orribile, alle vostre orecchie?
Perché è lo stesso che provo io quando scrivo. E' lo stesso motivo per cui sento il bisogno di scrivere. Dalla mia penna non escono fuori spermatozoi galoppanti, ma inchiostro pronto a bagnare la carta. Non scrivo per il gusto di rileggermi, non sono così tanto edonista, se così fosse suppongo mi basterebbe guardarmi nuda allo specchio. Scrivo perché come l'uomo che avendo, letteralmente, le palle piene sente il bisogno di dare sfogo al suo piccolo amico, così io sento il bisogno di liberare la mia mente.
Che io scriva bene o male questo non fa differenza, provavo già gusto nel farlo quando, quattordicenne, scrivevo boiate immense, spacciandole, tra i miei amici immaginari, come grandi saggi motivazionali su come affrontare la vita.
Poi arrivò MSN, al qual account potevi collegare un tuo personalissimo blog, nel quale liberavo la mia vena creativa che, per quanto mi ricordi, andava decisamente tagliata. [Non ringrazierò mai abbastanza il Sig. Internet per aver deciso di eliminare, tempo addietro, completamente, dall'esistenza e dalla memoria dell'etere, tutte quelle gabbie cybernetiche dove tante vite insignificanti (tra cui la mia) raccontavano la loro esistenza inutile, convinte che tutta quella merda, vomitata in byte, avesse del valore intrinseco.]

Dicevo.

Scrivere.

Tenevo quaderni disordinati assomiglianti a diari, dei quali mi servivo per dare un'etichetta e una colocazione alle mie idee. Seghe mentali di una liceale che cercava di essere profonda; il risultato definitivo era confuso: concetti importanti espressi male, che cercavo di adattare alla realtà circostante. Capivo di avere dei problemi, perciò, per semplificarli, li arrangiavo al contesto, immaturo, patetico, sgraziato, come solo può essere lo sfondo dello spettacolo al quale sta recitando un'adolescente che vive in una città di periferia. I miei scritti, di conseguenza, avevano lo stesso tono sfumato, banale; cercavano di rendere il di più, l'angoscia interiore, quella cosa che sentivo che mi contraddistingueva e mi rendeva dissimile alle altre bestie con cui dovevo rapportarmi.
Però poi rileggevo il tutto ed era sempre una Fiera del Sentimentalismo, svenduta al peggior quaderno preso in sottocosto alla Coop. L'orrore.

Per anni non ho più scritto niente, se non sporadiche righe. Se non che, due anni fa, ho raggiunto la pubertà della scrittura. Il ragazzino, una volta raggiunta questa fase, sente il disperato di bisogno di masturbarsi, alcune volte convulsamente; io ho sentito il bisogno di vomitare parole, pensieri.
Continuo a farlo. Scrivo ovunque, su fogli volanti, sul quaderno apposito che cerco di portarmi dietro sempre, ché mi sia d'aiuto quando, all'occasione, mi viene in mente qualcosa da appuntare.
Non ho la pretesa che quello che scrivo adesso sia migliore di quello che scrivevo 7-8 anni fa; certo, ci spero, ma non è questo il punto. Non è all'autocelebrazione cui aspiro.
Per quanto mi riguarda, e per quanto ne so, posso essere ancora molto vicina alla linea sottile che mi separa dall'analfabetismo. Il mio interrogativo è un altro: cosa mi spinga a scrivere così disperatamente.
Non mi basta il 'cerchi di imprimere qualcosa di te negli altri, perchè, così facendo, esorcizzi la morte, di cui hai tanto paura'. Boh, mi sa tanto di cazzata new age come risposta.

Dietro a chi scrive e lo sa fare, o per lo meno ci prova, secondo me c'è molto di più della gioia nel vedere piccoli discorsi di senso compiuto che prendono forma, come dei figli , tra le proprie mani. Piccole frasi che diventano creature vere, che colpiscono chi legge; che si muovono sul foglio bianco e, improvvisamente si colorano, prendono nella mente le forme più variegate, a seconda di cosa tu voglia far fantasticare. Sei il burittanio della fantasia, che, in quel momento ha il potere di plasmare l'immaginazione dell'altro, per condurlo dove tu vuoi. Lo scrittore prende il lettore per mano, e lo conduce nel tunnel dell'oscurità, dell'angoscia, della malinconia, o, semplicemente nel linguaggio della comunicazione.

Sotto l'epidermide dello scrittore, che tu sia una bimbaminkia che prova a riempire di 'cose' dei quaderni , o che tu sia un'universitaria con disturbi comportamentali, c'è il desiderio di comunicare.
Il bisogno di palesare ciò che fino ad allora si è celato di noi, l'aspetto più recondito che, nel momento di rapportarsi vis à vis, nel mondo, non ci sentiamo capaci di mettere a nudo. Allora torniamo a casa e, frustrati da questo senso di incompletezza che è il non riuscire a comunicare veramente, rigurgitiamo i nostri pensieri, la nostra misantropia, l'odio puro verso il prossimo, la nostra inadeguatezza, il rimpianto di un amore perduto, la paura di morire, il terrore di vivere, il sentimento dell'autodistruzione. Qualunque cosa sia, se la sentiamo pulsare dentro, deve essere riversata, per impedire che marcisca.

Scrivere è un modo per tendere una mano a se stessi, quando si sente che si sta per scivolare nell'oblio, e salvarsi.

giovedì 14 novembre 2013

Un muro bianco

Ti alzi malvolentieri, la mattina, ti chiedi: perché doverlo fare?
Certo, c'è la tesi. Certo, c'è l'ultimo esame. Certo, ho imbastito mille progetti che devono trovare collocazione precisa, in un futuro prossimo.
Guardo il soffitto, mentre mastico ancora un po' di saliva rafferma, nella mia bocca. Non vedo un cazzo perché sono pressoché cieca, mavvabbè.
Fa fatica alzarsi tutti gli stramaledetti giorni ad un'ora decente; d'altra parte non alzarsi significa abbandonarsi tutto il giorno al senso di colpa di non averlo fatto e di aver sprecato una giornata potenzialmente produttiva, un tempo avevo una coscienza che mi diceva quando studiare, quanto farlo e mi rimproverava a dovere se non portavo a termine gli obiettivi ripromessi.
Era il periodo in cui macinavo esami, era quella fase in cui bevevo giusto perché gli amici alle feste mi mettevano un bicchiere in mano, una lattina stappata, mi davano una pacca sulla spalla per incoraggiarmi a brindare a qualunque cosa ci fosse da brindare; poi arrivava lui, in bicicletta, mentre dal Polo stavo tornando a casa, e mi raccoglieva un po' barcollante ma allegra, mi diceva “sei un'imbecille”, mi dava un bacio e mi faceva salire sul sellino, appoggiata alla sua spalla, per non farmi cadere.
Mi alzavo tutti i giorni abbastanza presto, non che non fosse difficile, chiariamoci, ma il vuoto dentro era più colmo di convinzione che di disincanto.
Andavo a lezione già stanca, cappuccino con gli amici, full immersion su pagine ingiallite di archivi bibliotecari e poi la sera a mensa; la tessera, allora, non l'avevo ancora persa, i pasti erano decenti, il prezzo accessibile. Le giornate erano più corte perché FACEVO.

Adesso guardo il soffitto per una mezzora lunghissima, tutte le mattine.
Mi alzo, alla fine mi alzo sempre, anche se spesso accade per un semplice bisogno fisiologico da espletare, che diventa pretesto esso stesso per un “Oramai sono in piedi, mi faccio il caffè”.
Mi faccio una doccia rigeneratrice, alcune volte fredda, se la sera prima ho bevuto troppo, cosa che mi ricordano le tempie che pulsano forte, come dei bonghi a Parco Sempione.
Adesso non c'è nessun amico che mi passi la birra, nel tentativo di convincermi. Io stessa vado dal pakistano, ne chiedo una a due euro. Non so quando ho incominciato a credere che una Crest potesse farmi passare il malessere, riempendo il vuoto con liquido alcoolico.
Prima piangevo di più. Prima urlavo il dolore con più forza, ora mi limito a serrare le mascelle, scaricando la tensione ascoltando la musica.
Prima le lacrime sgorgavano con insistenza solcando avidamente le guance, ora non riesco neppure più ad aprirmi, se una persona mi abbraccia dicendomi “Sfogati, avanti!”. Rimango immobile, avvizzita, inerme davanti alla mia incapacità di confrontarmi con un dolore essiccato, talmente inaridito da aver rovinato le pareti del mio corpo dall'interno.
Il bicchiere di birra è diventato di vino, surclassato poi da quello di vodka: bruciare il dolore dall'interno, idratando con il liquore quella cavità essiccata, inibendo la sensazione di impotenza davanti a questo vuoto che non so più come colmare.
Di illusioni non lo voglio più riempire.


Prendo la tracolla piena di libri ed esco. I libri sono 5, 4 sono di lettura, un unico di studio, che forse neppure oggi toccherò, concentrandomi su argomenti che non competono il mio ultimo, fottutissimo, stramaledettissimo esame. Il mio autosabotarmi sta diventando ridicolo anche agli occhi di me stessa, che conosco – per sommi capi – il motivo per cui lo sto facendo.
La sera ritorno a casa, cazzeggio, mi sdraio sul letto, gioco al pc, poi mi rimetto a fissare il soffitto, con la musica alle orecchie, niente boiate sul “chi sono” “dove vado” “perché esisto”, che, però, diciamolo, sono boiate che ci siamo domandati un po' tutti, chi con il tono da bimbominkia, chi cercando se stesso in un autore russo, che scrive seghe mentali, tante come se dovessero sfamare i bimbi del Burundi; solo un semplice “Che cazzo sto facendo? Che cazzo mi è successo?”, 'nzomma, pur sempre cagate esistenziali messe in forma differente.
Ho sempre costruito i miei fantomatici, inutili, progettuali castelli in aria, con il sorriso di chi ci crede, adesso il sorriso non ha motivo di esserci, eppure c'è, mentre continuo a guardare un fottuto muro bianco, senza motivo.
Un tempo studiavo con passione, mentre la sera, salendo le scale di casa sua gli raccontavo un aneddoto figo, imparato leggendo documenti scartabellati.
Poi è calata la voglia. Lasciandolo andare è sfuggito il senso di cosa stessi facendo, come se, raccontandolo a lui, le mie parole fossero più reali, come se, fargli percepire la passione per quello che studiavo, fosse un modo per rendere orgogliosa me stessa. 
Forse ho studiato usando come forza propulsiva i motivi sbagliati. Eppure era così bello attenderlo alla porta, per fargli entrare il mio buonumore nel cuore.
Forse quello che mi manca è proprio la condivisione.

Alzo lo sguardo, il muro bianco è sempre lì.

Aspetta!
Non è completamente bianco, ci sono tre minuscole macchioline rosse! Sono le zanzare che hai schiacciato con i miei libri, al soffitto, una sera d'estate, esasperato dall'invasione aerea.
Mi hai macchiato il mio splendido muro bianco, metafora della mia esistenza senza senso e senza direzione, stronzo!
Ora mi toccherà imbiancare con il rullo...

Cristo, meno male ti ho lasciato.


mercoledì 30 ottobre 2013

I 29 anni di un morto. I 29 anni mai vissuti.

Se c'è una cosa di cui è difficile parlare, questa è la morte.

Da qualunque angolazione la si tratti si finisce per sbagliare, agli occhi di chicchessia. Si pecca di vittimismo
se si è un parente stretto del defunto; di blasfemia se si prova a scherzarci su, nel caso in cui lo si conoscesse appena.
Se ne piangi troppo la mancanza ti grogioli nel dolore e vieni sprezzato; se la tua voce non è rotta da un tremolio che preannuncia le lacrime la tua insensibilità offende.
Muore un personaggio famoso e vorresti rendere partecipe il mondo delle tue battute macabre sull'argomento ma il genitore ti sta già sfoderando lo sguardo di rimprovero; l'amico perbenista ti dice che non si fa. E intanto il tuo humor nero soffre a causa della censura...
I pietismi sono dietro l'angolo, appena fai un minimo accenno al tuo dolore personale. E il dolore appena accennato ti fa additare in quanto ne fai un uso egocentrico.

Ma chi la triste mietitrice l'ha respirata in casa non ha paura di essere scomodo. Impugna questa lama a doppio taglio dalla parte dell'acciaio, fottendosene di ciò che sarebbe socialmente corretto dire.
Alla morte mi ci avvicino con cinismo.
Non mi perito ad usare espressioni come “ha tirato le cuoia”, “ora è cibo per vermi”, perché non trovo utilità nell'usare perifrasi delicate per indicare il compiersi di una morte, l'accertamento di un cadavere.
Sono spietata, cattiva, graffiante, anche nei confronti del mio stesso dolore. Non mi ha mai riempito la bocca la bugia della persona cara che è volata in un posto migliore.
La sua anima non è volata da nessuna parte, è chiusa in una cassa, con vestiti nuovi che non userà mai, in un loculo del cimitero.

Detto questo, oggi avresti compiuto 29 anni. Ti saresti sentito alla soglia dei 30, quindi vecchio.
Come tutti avresti fatto un bilancio della tua vita, su quanto, sotto molti aspetti, ti avesse deluso,.
Probabilmente laureato, sicuramente bello, “ci scommetterei il buco del culo”, come diceva una tua vecchia fiamma, che saresti continuato ad essere fottutamente simpatico e, a tratti, brillante.
Un pronostico di una vita parallela che non hai mai vissuto. Un copione buttato nel fuoco, mai portato sul palcoscenico, di cui si può solo dire “sarebbe stato recitato divinamente”.

Il tuo corpo è decomposto, il tuo sorriso mangiato dagli anni. La pelle ridotta a brandelli, la barba, biondiccia, è probabilmente l'unico tassello di un puzzle distrutto che resiste, insieme alle ossa.
La percezione del ricordo è alterata dai lustri che si sono sommati, dall'impossibilità di vedere completata l'evoluzione da ragazzo a uomo. Come i pokemon. Non sei arrivato a livello 20, ti sei fermato prima, senza imparare altre mosse attacco. I tuoi punti ferita si sono azzerati.

Chi muore viene idolatrato, i difetti si opacizzano, i pregi, bruciati dalla fiamma ossidrica che ha sigillato la tua bara, adesso hanno un colore più brillante.
Ma, al di là di questo, scommetto che non saresti diventato un pessimo adulto.
Mi hai regalato un'infanzia divertente, sei stato un fantastico compagno di giochi, un aguzzino malvagio quando i giochi innocui non riempivano più le giornate.
"Ogni tragedia ha un suo perché, una sua ragione”, dicono; merdate simili ne ho accumulate molte, negli anni.


No. La morte non ha alcuna funzione espiatrice, per chi resta. 

Sono più cattiva e fragile, certo.
La mia personalità, mi ripetono, galoppa sopra le teste di molti.
Il dolore ha forgiato il carattere, creato una persona migliore, più scaltra, più cinica, più divertente.
La sofferenza regala consapevolezza, e la consapevolezza è felicità.


Sticazzi.


Mi ci sciacquo la fava con la consapevolezza, per dirlo con un francesismo.
Volevo essere una persona mediocre. Mi sarebbe andato benissimo. Mi sarebbe bastato.
C'è chi per salvarsi dal dolore decide di credere nella fede. Io ho decido di credere ai 20 kg di marmo della tua lapide che pesano sul tuo corpo. Fredda e bianca. Asettica come una visita alla tua tomba in cui non saprei cosa dire, non credendo che tu in nessun luogo possa sentirmi, perché non esisti più.

Però. Però persiste il fatto che oggi avresti compiuto 29 anni. Sposato, incazzato con una stronza che ti aveva appena lasciato. Magari già padre.
Il tuo migliore amico delle elementari è convolato a nozze, quello delle superiori ha fatto la stessa fine. Ed io mi sono ritrovata a pensare quanto sarebbe stato strano, e allo stesso tempo bello, venire al tuo di matrimonio. Una punta di gelosia, mista a felicità.

Intanto quella puttana di cui eri innamorato continua ad essere una puttana.

Avresti odiato il mio ex fidanzato, pur apprezzando il fatto che fosse nerd; mi avresti presa in giro per le volte in cui sono ritornata a casa sbronza. Mi avresti tenuta all'oscuro di molti tuoi segreti <<perchè tanto non capisci un cazzo>>, per poi farmeli lasciar scoprire da sola, innocentemente. Mi avresti trattata male, cercato di scaricare a un bordo di una strada. Avremmo litigato come dei cani da combattimento, ti avrei distrutto roba a cui tenevi, per dispetto, e tu mi avresti sputtanato davanti a miei amici, o viceversa. 
Eppure saremmo continuati ad essere complici, ostili, sprezzanti, a tratti cattivi, ma comunque complici che non si abbandonano mai.

Il dolore lo coccolo di notte, negli antri più nascosti della coscienza, quando ti sogno in tutte le forme, in tutte le età, quando percepisco solo la tua presenza, abbracciata in labirinti di nostalgia fatti di sonno, o quando nitidamente sogno il tuo viso. Sei lì, ci sei sempre stato; tornato da poco da un lungo viaggio; sogno di aver sognato fino ad ora, per poi gelare al risveglio, straziata da una ferita che non si curerà mai.

Sorrido al pensiero di assomigliarti fisicamente. Poi penso che assomiglio ad un morto. Mi arrabbio con me stessa quando devo guardare una foto per ricordare come eri.

Bestemmio.

-

Il mondo non fa poi così schifo, tutto sommato, per quanto lo disprezzi a parole, giorno dopo giorno. La vita non è così pessima, e tu te la sei persa.


Peccato, perché ti sarebbe piaciuta. Ma hai voluto fare lo stronzo, morendo senza neppure salutare.

giovedì 10 ottobre 2013

Ex che sanno di scarpe

Un/a ex è come un paio di scarpe che, da adolescente, adoravi; l'avevi viste per caso, passando da una vetrina, in periferia, erano particolari e per questo ti piacevano molto.
Misurandotele realizzasti subito che gli amici ti avrebbero preso un po' in giro, nel portarle, ma, consapevole che la tua forte personalità ti conferiva il dono di indossarle con orgoglio, le comprasti.
Erano comode, ti accompagnavano la camminata quasi ridendo; quasi correvano per te, da quanto il tuo piede di ragazzo era avvolto perfettamente da quel tessuto che non recitava nessuna marca famosa.
Si sbucciavano mentre ci facevi le scampagnate per il litorale maremmano e tu, con cura, le ripulivi, affinché durassero per sempre. Ci andasti ai concerti e ti ammortizzavano il portamento, in mezzo a mille pogate di metallari.
Poi il tuo piede crebbe, lentamente, in modo impercettibile.
All'inizio facesti finta di non curarti dell'anulare che bussava con sempre più insistenza in cima alla scarpa; poi ti arrendesti: passando da un 40 a un 42 questa scarpa non fece più per te. Ad ogni passo compiuto contorcevi il viso dal dolore e dalla scomodità, le galle si moltiplicano e tu, disperato, ti trovasti costretto a levartele di fretta e furia.
Le riponesti nella scatola, chiedesti a tua madre se poteva nasconderle, poiché, essendoci molto affezionato, nel rivederle, un moto interiore ti avrebbe tentato, facendotele rimettere per capriccio.
Le facesti riporre con un po' di frustrazione, chiedendoti come fosse possibile che, nonostante tutta la cura che ne avevi avuto, eri costretto a lasciarle marcire nella scatola, messo al muro dall'ineluttabilità della tua crescita e del tuo piede che si ingrandiva intorno a quel tessuto.
Passano anni, tu nel frattempo hai indossato molti mocassini, alcuni di marca, molti uguali a tanti altri in commercio.
Ti ricordi, improvvisamente, di quelle belle scarpe colorate che ti rendevano così felice di correre per il mondo.
Entri nello stanzino delle cianfrusaglie riposte, sposti un po' di polvere in qua e là.
Riappaiono, all'interno di quella scatola che ti fa illuminare gli occhi.
Le giri tra le mani, le stringhe sono slabbrate, le cuciture allentate, non hanno più uno sguardo gaudente, come un tempo. Confronti il tuo piede nudo con quella calzatura magica, anche un occhio poco esperto capirebbe che non riuscirai più a entrare in quella scarpa scolorita dal tempo e dal disuso.
Però rimani ancor lì a fissarla per un po', con un sorriso malinconico che sa di prati corsi insieme e di calci dati a un flipper che si incantava.
Insieme a quella scarpa hai percorso Km e galoppato, in quei pochi istanti, la voragine del ricordo; adesso, però, è solo una scarpa vecchia, con la quale non potresti più fare neppure un metro senza scaraventarla in un angolo, dal dolore.

sabato 5 ottobre 2013

Il ritorno del fuori sede. Parte 1

115 Km non sono tanti. Sono quelli che mi separano da “Casa”, sono quei 115 km che mi legittimano a dire che sono ufficialmente fuori sede.
Si, lo so. Il mio ritorno non è apocalittico, neppure epocale, non permetterei mai di paragonare il mio rimpatriare, al ritorno da fuori sede di un ragazzo che deve buttarsi in spalla e nella valigià 300 Km o più, di chi, pluasibilmente, deve attraversare un'intera Italia. In fondo io posso tornare quando voglio. Un'ora e mezzo e posso già respirare il Salmastro e le Acciaierie. Il romanticismo e l'industria.
Premesso questo, mi sento una fuorisede a tutti gli effetti. Sono vicina, geograficamente, ma con il cuore lontano e lo sguardo proiettato ancora più in là, dietro l'orizzonte; la mia condizione di studentessa esterpitasi da dove è cresciuta, quindi, è pari all'esperienza di un siciliano, o quasi.
Non torno mai, o cerco di farlo raramente, ma quando torno ci sono delle piccole che cose che mi fanno capire che sono rimpatriata, delle piccole sensazioni o “cose eccezionali di tutti i giorni” che vivo, immersa nella bolla di sapone di situazioni che non mi appartengono più, ma che si ripresentano, come un Revival.
C'è il pranzo fritto da mia nonna: 3000 calorie di unto in un solo piatto. Mia nonna, una Big Mama bianca che sistematicamente si dimentica che alla nipote manca un organo fondamentale per la digestione dei grassi, così decide di condannarla alla morte per trombosi. Pranzi infarciti dalle grandi discussioni sulla politica con mio padre, comunista disilluso, informato e pragmatico, che con il cuore getta ancora uno sguardo di amarezza a quelle idee che condivideva insieme a una folla di giovani pieni di speranza, convinti che la rivoluzione sarebbe stata DOMANI.
Davanti alla televisione e, quasi sempre, davanti a un piatto fumante di tortelloni fatti in casa, al ragù di cinghiale, commentiamo le notizie; mi da la sua opinione, mi informa degli ultimi eventi che intasano il mondo; a Pisa conosco lo scorrere degli uomini tramite sporadiche notizie catturate dal Web, inglobata come sono dai miei libri di Storia, mi perdo nel passato, lasciandomi sfuggire il presente, avvolta nella mia vita frenetica.
Sorridiamo, ironizziamo e ci arrabbiamo, usando come armi di offesa le nostre idee differenti, dettate da quasi due generazioni che ci separano. All'altro capo del tavolo la 3° generazione mangia rumorosamente il brodo, lo sguardo è vacuo, “IMU” “Crisi” “Femminicidi” “Spread”, parole chiave con un significato vuoto. Chissà se a 86 anni pure io avrò il suo stesso disinteresse.
Magari mentre apostrofo mio padre, dandogli del “venduto alla sinistra troppo moderata”, gli chiedo se può passarmi i fiori fritti, passando così dal tono di comizio al tono filiale nel giro di una frase. Un gioco delle parti che ci irrita e ci infuoca gli animi, ma ci diverte.
Poi prendo in mano “Il Tirreno”, giornale che posso leggere solo qui, d'altra parte non lo comprerei mai altrove, di spontanea volontà. Commento rifletto e leggo sulle informazioni locali riportate; roba distante di un posto che in parte è ancora “Casa”, ma che piano piano si sta trasformando in un ectoplasma che mi guarda ma non mi sfiora, se non nel sentimento.
Il ritorno è il caffè con i 'FrùFrù' a casa di nonna, lettura sul terrazzo, quando il tempo e la temperatura lo permettono, mentre nella cucina, a pochi metri, grossi voci rimbombanti recitano in una Telenovelas dal dubbio senso estetico.

giovedì 19 settembre 2013

Negozi di cosmesi. Breve esperienza di sopravvivenza urbana.

Entrare in un negozio di cosmesi è sempre un momento drammatico.
Ci sono delle volte in cui sai già cosa andrai a comprare, punti all'obiettivo, scegli e ti muovi verso la cassa senza indugi. Ma come in una battaglia, così ogni negozio si può trasformare facilmente in un campo minato.
Già nell'istante in cui ti avvicini allo scaffale dello smalto, ovvero del mascara o qual si voglia articolo, della tal x o tal y marca, capisci che la tua strada è in salita: il Velociraptor (altresì chiamata commessa) si avvicinerà con fare famelico mostrandoti l'ultima innovazione del marcato, sventolando come stendardo il motto: “Perché anche la bellezza può fare passi da gigante”, non tenendo di conto che potresti ritenerti offesa dalla frase appena pronunciata, che aveva tutto il suono di “avresti bisogno di un restauro”.
Il cliente che sa quello che vuole, però, riesce a superare il primo predatore che gli sbarra la strada; accenna un sorriso e alza la mano destra in segno di diniego, capisce che il nemico non è stato addestrato a sufficienza, una semplice scrollata di capo, benché energica, basterà per continuare il suo cammino verso la libertà.
La prossima tappa dovrebbe essere anche l'ultima: la cassa. Dalla sua ha la consapevolezza che non gli serve altro se non quello smalto che stringe tra le mani; nonostante ciò il cliente selvatico deve muoversi con circospezione in quel luogo di perdizione.  
Quelle decine di metri che lo separano dalla meta sono interminabili; il campo è libero, i Velociraptor hanno trovato carcasse di clienti a cui appioppare i loro lunghi sermoni sulla miracolosità di questa o quella crema; può muoversi a passo felpato senza essere visto, mimetizzandosi abilmente; ma il caleidoscopio di colori e profumi agiscono subdoli, intorpidendo la mente.
Così, in men che non si dica, si ritrova davanti alla postazione degli ombretti colorati, ad accarezzare il vuoto delle sfumature al di là dei coperchi trasparenti, con sguardo vitreo e vacuo, con la bocca semi aperta, attratto visceralmente da tutti quei colori. Tutti. Poi * clop * ecco che una sinapsi si riattiva e la luce negli occhi si rifà lucida e cosciente. Si guarda intorno e si rende conto che di tutti quei colori non saprebbe mai quale le starebbe bene, che non si sa truccare, ma , soprattutto, CHE LEI ERA VENUTA SOLO PER UNO SMALTO. 
Si riattiva, sconvolta ed arrabbiata con se stessa per aver ceduto alla seduzione; schiva altre carcasse di clienti che , come lei poco prima, ammaliati, guardano creme idratanti dai profumi esotici senza avere piena padronanza di sé stessi.
Finalmente è in fila. Guarda per terra, in attesa del pagamento, cosciente che ogni sguardo rivolto a ciò che la circonda potrebbe esserle fatale. E' serena per essere riuscita a trovarsi in mano con SOLO quello smalto rinforzante per unghie. Quello ha in mano, niente di più. Ma respira profondamente, perchè sa che il peggio deve ancora arrivare.
 LUI, il Boss finale, il Velociraptor che è alla cassa e che proverà a infliggerle il colpo di grazia ad un passo dalla libertà.
La povera vittima le presenta il prodotto, e ,nel momento in cui le porge la mano, la bestia immonda gliela afferra, tira fuori una salvietta dalla dubbia utilità e incomincia ad urlare con suoni gutturali che assomigliano vagamente a un “Scrub per il corpo” , “pelle liscia”, “costa poco” , “compra” ed ancora “COMPRA”.  
Il cliente preso alla sprovvista rimane per un attimo inerme, poi ritrae la mano, con non poco sforzo, dalla stretta ferrea e con voce ferma le dice: “NO, io voglio solo uno smalto”. Cerca di scandire bene, e di usare una frase che si presti poco ai fraintendimenti, vuole che il concetto sia chiaro e conciso. Con questi essere sub-umani  la gentilezza o il garbo contano poco; deve respingere con convinzione le avance di una fantomatica vita migliore “Se tu ti purificassi la pelle dalle imperfezioni”.
Alché tu non puoi fare altro che alzare la frangia, o spostare il ciuffo, indicare con violenza la sporgenza piena di pus che stavi celando e dire con orgoglio : “Lo vedi questo bollicino? Mi piace. Lo voglio, lo tengo. Mi piacciono le mie imperfezioni , i miei punti neri, mi rendono speciale”.
Il cliente gliela sputa a denti stretti questa sentenza, ed avrà capito che il Boss finale avrà ceduto alla sconfitta quando finalmente accetterà il suo denaro. Solo quei 2 euro e 50 che erano stati previsti.. Le catene che si spezzano sono già un suono vero e vicino.
Il guerriero/cliente uscirà, si guarderà alle spalle per dare un ultimo sguardo al luogo lugubre dove per 10 minuti ha temuto di non vedere mai più la luce. Si struggerà nel sapere che dentro ancora molti stanno combattendo contro i Velociraptor affamati di soldi, e contro se stessi, vedendo in un trucco il riflesso di una felicità perduta. Si struggerà, ma non potrà fare niente per loro, dovranno uscirne con le loro forze. Si struggerà per loro, ma si allontanerà vittorioso,

domenica 15 settembre 2013

Mele & Kiwi

Non credo sia il caso neppure di precisarlo, ma, se a qualcuno fosse sfuggito, mi sembra doveroso ricordarlo qui; la storia del principe azzurro è una cagata ancora più grossa di “Mangia tutta la minestra ché altrimenti Gesù bambino ti mette il broncio”.
 L'ingenuità della bambina già disorienta la futura ragazzina che , crescendo, crederà inevitabilmente all'amore puro. Come se non bastasse, la tutela insita nel genitore porterà il genitore stesso a stringerla forte a sé dicendole “...Eppoi arriverà l'amore della tua vita che ti amerà per sempre”. All'asilo, così come alle elementari, poi, le maestre inducono le bambine a disegnare matrimoni e situazioni idilliache, preparandole ad un futuro che , non c'è da escluderlo, non sarà destinato a loro.
Perché?
Allora verrebbe da chiedere, 'Perché?' Cosa vi abbiamo fatto di male, Genitori, Maestre, e tutta la combriccola di educandi, per introdurci con l'inganno alla vita?
La vita poi fa il suo corso. Tutte si sono innamorate del proprio compagno di banco delle elementari, o dell'amichetto preferito di giochi. Ma, beh, non può funzionare, è logico, Siete troppo piccole, la crescita, si sa, porta in direzioni diverse, e tu, con lo sviluppo sessuale ti avvicinerai, attratta, a tipi molto diversi dall'amichetto di giochi.
Alle medie già si può raddrizzare il tiro, scegliendo come 'uomo della propria vita' un individuo a caso. Voce da angelo bianco. Calcio. Figurine e corse in bici. Non ti cagherà mai, il suo stare con te si tradurrà nel semplice indicarti da lontano ai suoi amici, con aria da chi sa il fatto, mentre sbruffoneggiando dice 'La vedete quella pupa là? Ecco, quella è la mia donna”. Non sa neppure allacciarsi le scarpe. (Molto onorata, o molto sfigata, nel dire che io ho saltato questa fase. Sotto i miei 25 kg di felpa e occhialoni c'era un esserino un po' snobbato).
A 15 anni le tue antenne si drizzano come aculei. Ti hanno preparata tutta una vita a questa sfrenata ricerca, adesso sei pronta per la caccia.
Non cerchi un uomo qualsiasi.
La donna cerca l'uomo della sua vita. Ti hanno intortato ben bene con questa storia del principe azzurro: la donna cerca il padre dei suoi figli.
L'altra metà della Mela.
A quest'età però, è già tanto se trovi l'altra metà di un Kiwi.
Però , magari, è un Kiwi molto carino, e molto peloso e succoso, proprio le migliori qualità dei Kiwi; quindi ti dici: forse cercavo un Kiwi, mi sbagliavo, non cercavo una Mela. Di conseguenza ti fidanzi con il Kiwi. Nonostante ciò avete mai sentito parlare di un Kiwi e di una Mela che vissero felici e contenti? Io neppure.
Io ho trovato un sacco di metà di Kiwi, di Susine, Cocomeri; Ahimé, io rimanevo sempre una Mela, e prova a metterti con un Cocomero! Come fai, Mela come ti ritrovi? Non si può.
Poi capitano gli svarioni, in questo percorso di caccia grossa, di tentativo di assicurarsi una prole sicura nel futuro, misto a un giro turistico al fruttivendolo. Nel senso che ti può capitare di renderti conto di aver trovato l'altra metà di una Mela; il buon senso, allora,  va a farsi benedire, senti già suonare in lontananza le campane; la felicità è alle stelle: non puoi credere che, dopo anni di ricerca, tu sia arrivata all'approdo.
Perciò ti lucidi tutta, sei una Mela d'altra parte; e ,perchè no, dai anche una sciacquata alla buccia, piena come è di pesticidi.
Dopo tutta questa fatica, tuttavia, ti rendi conto che è solo l'altra metà di UNA Mela, non de LA Mela. Non te ne fai niente della magra consolazione d'aver beccato la tipologia del frutto, almeno 'sta volta, ti scoccia solo enormemente di non aver trovato quella giusta, dopo tanto peregrinare e dopo che, inanzitutto, ti eri convinta di aver colpito nel segno.
Con gli anni impari a fare una scrematura, impari ad uscire con sempre più Mele e lascerai perdere i Kiwi. Però ti capiterà di dare delle possibilità anche a degli Ananas, perché magari è periodo di magra e comunque il tuo ego ha bisogno di attenzioni.
In definitiva, credo che ci facciano coltivare un futuro immaginario con aspettative troppo alte. L'uomo perfetto non esiste, né tanto meno i rapporti perfetti. Magari non troverai l'altra metà della Mela, la TUA altra metà. Però, con un buon compresso, la puoi smussare, e puoi smussare a tua volta i tuoi angoli, cercando di far coincidere le due estremità.
[N.B.: Ho dovuto tirar fuori tutte le mie tecniche di autocontrollo per non utilizzare, in mezzo a tutti questi parallelismi di frutta, una qualsiasi battuta squallida sull' “accontentarsi semplicemente di una banana”.]
[N.B.2: Un grazie particolare alla mia amica Chiara Ricci per avermi suggerito l'arrovellamento mentale sulla Mela e i Kiwi, forse senza di lei questo articolo non sarebbe esistito, quindi si merita tutti i vostri anatemi!]


domenica 5 maggio 2013

"Chi ama torna sempre indietro". Recensione.



La mia prima recensione di un libro, ahimè, non sarà benevola.
Quanti di voi, in giornate uggiose, hanno vagato per la casa senza la voglia di fare alcunché, se non poltrire sul divano, accompagnati da una buona lettura, cercando appunto il volume giusto per l'occasione?
Fortuna che casa mia pullula di librerie zeppe di classici polverosi, enciclopedie dimenticate negli anni, best seller, libri trash, raccolte di fantasy, insomma, scaffali dove il “di tutto e di più” trionfa, dove un armony di mia nonna può tranquillamente giacere per decenni al fianco di un manuale di Chimica e Agraria.
Ciò mi consente di passare ore a scegliere il libro giusto per la giornata; E' quello che mi è capitato l'altro giorno, quando rilanciarmi in una seconda lettura de Il Signore degli Anelli era decisamente troppo, tanto da farmi indirizzare verso un libretto di dubbio gusto, uno di quei testi che presentano un titolo orribile, ma che possono far credere di nascondere un grande potenziale nel contenuto.

Mai intuizione, in quel caso, fu più errata.
Opera di Guillaume Musso, l'intitolazione recitava : 'Chi ama torna sempre indietro'.
Si, fa ridere.
La mia migliore amica quando me lo ha visto tra le mani, intenta a leggerlo, è scoppiata in una sonora risata, domandando testualmente: “Ma questa che boiata è?”. Lo aveva definito bene. Una boiata.
Il suddetto romanzo si fa leggere benino e con una certa celerità, devo ammetterlo; le frasi sono brevi e concise, qualità che fa arrivare con una velocità incredibile al termine di ogni capitolo. Però ciò non rende il modo di scrivere meno banale, troppo semplice per essere, a parer mio, considerato una narrazione di qualità.
Non amo per forza di cose i linguaggi pomposi o troppo articolati, ma quando un libro è banale va detto.

Cercherò di delineare nel modo più stringato possibile le linee portanti del romanzo; E' una storia d'amore di un uomo di successo(Elliott), che ha la possibilità di tornare indietro e cambiare le sorti che hanno determinato la morte del suo grande amore, cercando di influenzare attivamente, ormai sessant'enne, le azioni dell' Elliott-giovane, che incontrerà in questi misteriosi viaggi temporali.
La trama è molto dinamica ed ad ogni pagina i cambiamenti di luoghi e il susseguirsi di avvenimenti instillano inevitabile curiosità ma ,per quanto sia un po' vecchiotta, l'idea del viaggio nel tempo poteva essere sviluppata in modo più degno.
La mancanza di collante tra le varie frasi colloquiali, pronunciate dai personaggi, e i fatti veri e propri mi ha fatto sembrare il testo simile alla sceneggiatura di un film: tanti dialoghi, scontati, quasi telenovellistici; poche descrizioni valide, se non riportanti a stereotipi di città americane o di situazioni tragiche che non stonerebbero in qualche telefilm, stile O.C.
Una delle tante cose che mi ha dato fastidio, oltre alla mediocrità generale, è il fatto che la parte Pseudo-scientifica/magica del viaggio nel tempo non è minimamente approfondita e spiegata: lui ingoia una pillola, fornitagli da uno sciamano, e
Puff, in un attimo è CACATO nel passato. Come è successo? Perchè? “Te un ti preoccupà”.
E' uno di quei libri, purtroppo, che non ti lascia niente, non ti arricchisce, ma che, chiudendolo, ti fa pensare: “Ecco, ho sprecato una giornata, forse era meglio se andavo a giocare a bocce sotto la pioggia”.
A malincuore devo ammettere che l'unica cosa del libro che mi è piaciuta sono state le citazioni all'inizio di ogni capitolo, che essendo una ventina, fanno sì che di citazioni ce ne siano in quantità.
Quindi, in definitiva, la parte bella del libro non è neppure frutto del pugno di Musso. 

giovedì 7 marzo 2013

Presentazione un po' alla cazzo di cane.

Si, sono consapevole del fatto che l'etere è già pieno zeppo di blog ove improvvisi recensionisti si riscoprono esperti del settore che, mettendosi in pose da sommelier che si accinge a odorare l'ultima annata di chardonnay, gonfiano il loro petto tronfio spicciolando le loro opinioni sull'ultimo best seller.
Premetto quindi che il mio umile ego è ben lontano dal farmi credere di essere una grande intenditrice di chissaché, sono solo una svogliata studendessa universitaria a un passo dalla laurea, decisa che il modo migliore per ritardare la fatidica data "del successo" era quello di perdere ulteriore tempo aprendo uno spazio proprio dove sparare cazzate sugli innumerevoli libri/film/fumetti che divora, rubando ore decisive allo studio matto et disperatissimo.