lunedì 2 dicembre 2013

Meta-Scrittura: Scrivere sul piacere di scrivere (come farsi una sega al pensiero di farsi una sega, 'nsomma)


I maschi hanno una simpatica sacca chiamata scroto, produce in continuazione dei curiosi girini bianco/trasparenti, detti spermatozoi, tutti, potenzialmente, possibili vincitori di un trofeo che chiameremo 'ovulo'; corrono tutti insieme, in una sfrenata corsa per la conquista del suddetto.
Miliardi di miliardi, partecipanti a una comptizioni che li vedrà perdere in massa. Lo scroto, pur liberandone una quantità infinita, ne continua a produrre tantissimi, riempiendo nuovamente la succitata sacchetta conteniva in un tempo incredibilmente breve, retaggio di un mondo primitivo in cui, a quanto pare, si scopava tanto, con un grande e unico scopo: impregrare e riprodursi, impregnare e riprondursi, senza fine.
Unica eredità di un mondo antico, mentre, nello stato odierno delle cose, gli istinti primitivi sono ridotti, o comunque incanalati, nei giorni della setttimana in cui LuiNonHaLaPartitaDiCalcetto & LeiNonHaLaSedutaDiCazzateSettimanaliSparateConLeAmiche. Poi arriva il venerdì, lei non ha il ciclo, a 'sto giro, lui dall'eccitazione si strappa i peli pubici preso da un attacco di virilità nascosta, ma mal esplosa, e le sussurra con voce tremante <<Cara. Se non sbaglio oggi è il giorno della settimana consacrato al rigirarti come un calzino, sbatacchiarti contro l'armadio e mostrare, con i nostri urli, ai vicini, quanto sia palpitante -e zampillante, dato poi come andrà a finire- d'ammmòre per te>>.
Lei sbuffa, messa al muro dall'impossibilità di poter usare la Suprema Arma del mal di testa, di cui ha abusato troppo, questa settimana.
Non le resta che aprire le gambe ed annoiarsi per la successiva mezz'ora.

Ecco, Lui, il povero tipo che è in ognuno di voi, speranzosi di dar sfogo alla vostra fontana fecondativa, Lui è disperato perchè DEVE far uscire quello che ha dentro, è fisiologico. Sta nella sua natura di PoveroCristo.
Se, ipoteticamente, quell'essere immondo che continua a chiamare 'compagna', anche questa sera, avesse deciso di non dargliela, lui sarebbe dovuto correre in bagno, di nascosto, in tarda serata e, con mano lesta ma delicata, dare sfogo, come ogni sera, personalmente, a quel profluvio di amore sprecato.

Perché sto narrando questa pratica che suonerà, credo, orribile, alle vostre orecchie?
Perché è lo stesso che provo io quando scrivo. E' lo stesso motivo per cui sento il bisogno di scrivere. Dalla mia penna non escono fuori spermatozoi galoppanti, ma inchiostro pronto a bagnare la carta. Non scrivo per il gusto di rileggermi, non sono così tanto edonista, se così fosse suppongo mi basterebbe guardarmi nuda allo specchio. Scrivo perché come l'uomo che avendo, letteralmente, le palle piene sente il bisogno di dare sfogo al suo piccolo amico, così io sento il bisogno di liberare la mia mente.
Che io scriva bene o male questo non fa differenza, provavo già gusto nel farlo quando, quattordicenne, scrivevo boiate immense, spacciandole, tra i miei amici immaginari, come grandi saggi motivazionali su come affrontare la vita.
Poi arrivò MSN, al qual account potevi collegare un tuo personalissimo blog, nel quale liberavo la mia vena creativa che, per quanto mi ricordi, andava decisamente tagliata. [Non ringrazierò mai abbastanza il Sig. Internet per aver deciso di eliminare, tempo addietro, completamente, dall'esistenza e dalla memoria dell'etere, tutte quelle gabbie cybernetiche dove tante vite insignificanti (tra cui la mia) raccontavano la loro esistenza inutile, convinte che tutta quella merda, vomitata in byte, avesse del valore intrinseco.]

Dicevo.

Scrivere.

Tenevo quaderni disordinati assomiglianti a diari, dei quali mi servivo per dare un'etichetta e una colocazione alle mie idee. Seghe mentali di una liceale che cercava di essere profonda; il risultato definitivo era confuso: concetti importanti espressi male, che cercavo di adattare alla realtà circostante. Capivo di avere dei problemi, perciò, per semplificarli, li arrangiavo al contesto, immaturo, patetico, sgraziato, come solo può essere lo sfondo dello spettacolo al quale sta recitando un'adolescente che vive in una città di periferia. I miei scritti, di conseguenza, avevano lo stesso tono sfumato, banale; cercavano di rendere il di più, l'angoscia interiore, quella cosa che sentivo che mi contraddistingueva e mi rendeva dissimile alle altre bestie con cui dovevo rapportarmi.
Però poi rileggevo il tutto ed era sempre una Fiera del Sentimentalismo, svenduta al peggior quaderno preso in sottocosto alla Coop. L'orrore.

Per anni non ho più scritto niente, se non sporadiche righe. Se non che, due anni fa, ho raggiunto la pubertà della scrittura. Il ragazzino, una volta raggiunta questa fase, sente il disperato di bisogno di masturbarsi, alcune volte convulsamente; io ho sentito il bisogno di vomitare parole, pensieri.
Continuo a farlo. Scrivo ovunque, su fogli volanti, sul quaderno apposito che cerco di portarmi dietro sempre, ché mi sia d'aiuto quando, all'occasione, mi viene in mente qualcosa da appuntare.
Non ho la pretesa che quello che scrivo adesso sia migliore di quello che scrivevo 7-8 anni fa; certo, ci spero, ma non è questo il punto. Non è all'autocelebrazione cui aspiro.
Per quanto mi riguarda, e per quanto ne so, posso essere ancora molto vicina alla linea sottile che mi separa dall'analfabetismo. Il mio interrogativo è un altro: cosa mi spinga a scrivere così disperatamente.
Non mi basta il 'cerchi di imprimere qualcosa di te negli altri, perchè, così facendo, esorcizzi la morte, di cui hai tanto paura'. Boh, mi sa tanto di cazzata new age come risposta.

Dietro a chi scrive e lo sa fare, o per lo meno ci prova, secondo me c'è molto di più della gioia nel vedere piccoli discorsi di senso compiuto che prendono forma, come dei figli , tra le proprie mani. Piccole frasi che diventano creature vere, che colpiscono chi legge; che si muovono sul foglio bianco e, improvvisamente si colorano, prendono nella mente le forme più variegate, a seconda di cosa tu voglia far fantasticare. Sei il burittanio della fantasia, che, in quel momento ha il potere di plasmare l'immaginazione dell'altro, per condurlo dove tu vuoi. Lo scrittore prende il lettore per mano, e lo conduce nel tunnel dell'oscurità, dell'angoscia, della malinconia, o, semplicemente nel linguaggio della comunicazione.

Sotto l'epidermide dello scrittore, che tu sia una bimbaminkia che prova a riempire di 'cose' dei quaderni , o che tu sia un'universitaria con disturbi comportamentali, c'è il desiderio di comunicare.
Il bisogno di palesare ciò che fino ad allora si è celato di noi, l'aspetto più recondito che, nel momento di rapportarsi vis à vis, nel mondo, non ci sentiamo capaci di mettere a nudo. Allora torniamo a casa e, frustrati da questo senso di incompletezza che è il non riuscire a comunicare veramente, rigurgitiamo i nostri pensieri, la nostra misantropia, l'odio puro verso il prossimo, la nostra inadeguatezza, il rimpianto di un amore perduto, la paura di morire, il terrore di vivere, il sentimento dell'autodistruzione. Qualunque cosa sia, se la sentiamo pulsare dentro, deve essere riversata, per impedire che marcisca.

Scrivere è un modo per tendere una mano a se stessi, quando si sente che si sta per scivolare nell'oblio, e salvarsi.

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