domenica 1 febbraio 2015

Care Matricole...

Ogni volta che mi imbatto in un gruppetto di matricole c'è una domanda che si fa spazio, più o meno risolutamente: anche noi eravamo così?

Non mi riferisco alle dolci espressioni innocenti che albergano sui loro glabri volti, né alla loro aria spaesata, mentre si muovono nelle arterie di un dipartimento che non hanno ancora fatto loro, che non hanno ancora imparato a vivere, in pomeriggi afosi e soffocanti di ansia e studio.

Alludo piuttosto a quel moto di gioia che li contraddistingue, mentre si muovono leggiadri e noncuranti all'interno di questo organo d'istruzione che mi puzza sempre più di marcio. Loro ancora non ne sentono l'odore, sono immuni al tanfo che tra qualche anno riempirà copiosamente le loro narici, ancora per un po'.

Spostandosi, in branchi o solitariamente, lasciano quella scia che sa di speranza, energizzata dalla voglia di fare. Odoro quella loro illusione che da una parte ammiro e rimpiango, con insensata malinconia, e dall'altra mi mostra l'evidenza della loro pateticità.


La risposta è Sì. Eravamo anche noi così.


Rumorosi, riverenti, ammirati, curiosi, pieni di amore per il percorso che andavamo ad intraprendere. Venivamo da una situazione scolastica e provinciale opprimente e restrittiva; adesso, finalmente, un mondo si apriva davanti ai nostri occhi.  Lo studio, l'indipendenza, nuove amicizie, nuove scopate -forse le prime- e quei pranzi a mensa che non sembravano affatto male.

Adesso ci ritroviamo -mi ritrovo- ad essere infastidita dal giubilio che leggo nei loro occhi e odo nelle loro voci. Ci alziamo acidi e spazientiti, intimandoli di non disturbare la nostra già labile attenzione, ché anche se sono fuori dalla porta dell'aula studio li si sente ugualmente, "Piantatela, per dindirindina, altrimenti vi buco il pallone".

Non è invidia, né rimpianto della loro condizione di innocenti, di incosapevoli coscienze che vaneggiano un futuro roseo. Perché è questione di tempo. 

Questione di tempo prima che si rendano conto che quel prezioso idillio che stanno vivendo è una splendida vetrina dietro la quale il Nulla li attende, pronto ad abbracciarli tra le sue fredde braccia.

Perché le amicizie universitaria valgono quanto un soldo di cacio, come, spesso, quelle della vita in genere. Ammalianti e salvagenti, a causa della lontananza dalla famiglia, vaghi punto di riferimento per lo studente, pur sempre animale sociale, ma effimere e caduche.

Perché il fatto che tu abbia studiato, speso soldi, ore, vita sociale, salute per laurearti, non ti farà guadagnare un posto di lavoro sicuro. Affermazione tautologica quanto vera e non farne menzione sarebbe un delitto.

Perché una volta che tra 5, per i più volenterosi o fortunati, o 10 anni  vi ritroverete annoverati nell'ormai fornito gruppo di incoronati di alloro, vi guardete intorno, e sarete già vecchi.

Già vecchi per le aziende, perché di cinesi o -senza andare troppo lontano- europei, qualificatissimi, che si laureano prima di voi ce ne sono come i negri-venditori-di-ombrelli che spuntano quando il cielo si annuvola.

Per i tuoi parenti, che nonostante odorino di morte, si ostinano a sottolinearti quanto tu stia, inesorabilmente, invecchiando.

Per i tuoi amici che non sono andati all'università e che lavorano già da tot anni, mentre ti ritrovi trentenne, senza contributi.

Per i tuoi amici che non sono andati all'università, lavorano, si sono sposati e hanno figli.

Care matricole, ridete pure, affezionatevi, scopate. Ché tanto prima o poi il pallone ve lo buco davvero.

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